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da Libertà, 05/04/2014

Non solo i giocatori, ma anche i familiari vengono travolti dall’incubo del gioco d’azzardo. La nuova sfida del Coordinamento nato in Provincia poco prima di Natale potrebbe ora essere quella di creare un sostegno concreto al lavoro svolto negli ultimi anni dalla cooperativa l’Arco e dall’associazione La Ricerca e dedicato alle famiglie dei malati di gioco d’azzardo patologico. Si stima infatti che ogni persona dipendente trascini con sé almeno sette persone nella trappola di luci e colori di una macchinetta.

«Queste persone non hanno potuto scegliere, eppure si trovano loro malgrado coinvolti in un disastro finanziario e familiare di cui non hanno alcuna colpa – spiega Alessandra Bassi della cooperativa l’Arco -. Sono persone normalissime, che da un giorno all’altro scoprono di avere un problema causato da un loro familiare. Eppure non c’è nessuno che le supporti. Per questo, da tre anni, con il sostegno di Svep, Ausl e Fondazione di Pc e Vigevano, abbiamo attivato un vero e proprio percorso di “counsellor”. Tante le storie ascoltate. All’inizio, ai primi segnali sospetti, la moglie crede che il marito abbia un’amante: quando scoprono che in realtà si trova al bar a giocare pensano d’istinto “Meno male”. Appena però capiscono cosa voglia dire convivere con un marito dipendente dal gioco si ricredono e dicono “Sarebbe meglio avesse avuto un’amante”».

Negli ultimi anni, con il sostegno ricevuto, sono state aiutate venti famiglie, in cicli di sei incontri. Ma non basta. «Vorremmo sostenere anche le famiglie dei malati che non accettano di farsi curare al Sert – spiega ancora la Bassi -. Le famiglie hanno assolutamente bisogno di un supporto sociale molto importante, che oggi purtroppo manca. Queste persone non sono abituate a chiedere aiuto, scoprono di avere un problema quando ormai è quasi troppo tardi. Ma un peso simile non può essere portato da soli. L’ideale sarebbe che tutta la rete sociale (bar, amici, vicini, colleghi) sapessero in che condizioni si trova il malato, così da evitare che gli vengano prestati soldi. È vero, spesso la famiglia è l’ultima a saperlo, è difficile dare consigli. Gli stessi impiegati di banca si stanno ponendo la domanda se non sia il caso di avvisare qualcuno vedendo prelievi indiscriminati a ogni ora».

Da questi piccoli gruppi potrebbe ora nascere un gruppo di Auto mutuo aiuto (Ama), perché nessuno si senta solo e, insieme, si riescano a trovare quegli accorgimenti per smascherare le bugie del familiare, intento nell’unica ricerca del gioco. Le tante testimonianze raccolte da Libertà nell’ultimo anno confermano come chi esca dal tunnel della dipendenza da gioco d’azzardo patologico ricordi uno “zombie” imbambolato davanti alle lucine di una macchinetta come qualcosa di profondamente diverso da sé. “Ero un’altra persona”, dicono, usciti dall’incantesimo grazie all’aiuto dei familiari e del Sert di Cortemaggiore. Per uscire infatti da questo finto “El Dorado”, la prima strada è proprio quella dell’amore per la famiglia.

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